Esiste una stretta connessione tra la Covid-19 e il sistema digerente. Studi specifici hanno evidenziato che un recettore del virus Sars-Cov-2, in particolare l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), è presente in grande quantità nel tratto intestinale e nel fegato. Per questo motivo i sintomi come vomito, diarrea o dolore addominale non compaiono così raramente come invece si poteva ipotizzare all’inizio della pandemia.
Il Sars-Cov-2 è un beta coronavirus che causa, in alcune persone, problemi molto seri a organi e apparati vari del corpo umano che infetta. Quando si sono verificati i primi casi della malattia, all’inizio del 2020, i sintomi a carico dell’apparato digerente sembravano essere molto rari, e l’attenzione era principalmente rivolta verso febbre, tosse e problemi respiratori. Con il passare del tempo, però, disturbi come diarrea, anoressia, nausea, vomito, dolori addominali e sanguinamento gastrointestinale sono emersi come più frequenti, ed è stata evidenziata una correlazione con la positività alla Covid-19. Nei pazienti affetti da questo virus è abbastanza frequente anche che si verifichino dei danni epatici, causati dall’infezione virale diretta, dalla tossicità dei farmaci o dalla risposta immunitaria infiammatoria.
È difficile spiegare il collegamento tra il Sars-Cov-2 e i problemi gastrointestinali, ma le scoperte messe in luce nella revisione sistematica della letteratura scientifica pubblicata su Biomedicine & Pharmacotherapy nel gennaio del 2021 hanno evidenziato un aspetto fino a quel momento trascurato. I recettori ACE2, responsabili dell’accesso del Sars-Cov-2 nelle cellule e abbondantemente presenti nelle cellule alveolari (pneumociti) di tipo 2 e in quelle dell’epitelio polmonare, si trovano pure in altre parti del corpo. Tra queste ci sono i tessuti del fegato e alcune aree del tratto gastrointestinale: la presenza di questi recettori specifici, a cui si lega la proteina spike del virus per potere penetrare nella cellula, rende queste aree dei bersagli per l’infezione da Sars-Cov-2.
A consolidare questa tesi, è emerso che malattie pregresse al fegato tendono a peggiorare gli esiti clinici derivanti dal contagio virale. I disturbi a livello intestinale, oltre ai danni intrinseci che causano, possono peggiorare la prognosi del paziente e aumentare la probabilità di non sopravvivere.
Per questo – suggeriscono gli autori dello studio – sarebbe bene prestare grande attenzione a questi sintomi, e altre ricerche sono già in corso per approfondire i disturbi a carico dello stomaco e del fegato, così da mettere a disposizioni informazioni utili per proporre misure preventive e rendere più efficaci le strategie terapeutiche.
Fonte: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7700011/