Analizzare in dettaglio l’eziologia della vulvodinia permette di individuare trattamenti specifici più efficaci e di evitare interventi invasivi.
Attualmente i trattamenti per la vulvodinia si concentrano perlopiù sul sollievo dei sintomi, non sempre con una valutazione della malattia nel suo complesso e un’analisi delle possibili cause scatenanti.
Analizzare nel dettaglio i fattori eziologici, e le loro potenziali associazioni con patologie correlate o con sintomi specifici, permette di identificare cure più efficaci e che siano anche funzionali a garantire alle donne che ne soffrono una buona qualità di vita.
In proposito, un recente articolo pubblicato sul Journal of Midwifery & Woman’s Health mira a diffondere una conoscenza più approfondita sull’eziologia della vulvodinia, per migliorare la diagnosi e favorire la scelta di trattamenti farmacologici più efficaci.
La vulvodinia è una patologia che colpisce il 7% delle donne (il dato è riferito agli Stati Uniti, ma i valori sono simili in molte altre parti del mondo) e che è di fatto sottodiagnosticata, perché molto spesso i sintomi sono generici e vengono confusi con quelli di altre patologie come la vaginite.
Eppure la vulvodinia può avere un severo impatto sulla qualità di vita delle donne: spesso influisce sulla capacità di avere rapporti sessuali, condizionando quindi le relazioni intime, inoltre determina sofferenza fisica con dolore che può essere localizzato in un’area specifica oppure più generalizzato.
Il primo step per migliorare la cura e la gestione della malattia, hanno scritto gli autori del documento, consiste nel rendere più efficace il sistema diagnostico: non solo identificando precocemente la patologia, ma valutando i caratteri specifici di ciascuna paziente e prescrivendo terapie basate sull’evidenza scientifica. Lo stesso dolore può avere numerose sfaccettature, sia in termini di intensità sia per le caratteristiche specifiche che lo contraddistinguono: solo con un’analisi di queste informazioni, ovviamente, è possibile effettuare le giuste cliniche.
Anche le terapie non farmacologiche e quelle minimamente invasive possono essere utili per il trattamento di alcune pazienti, prima di ricorrere eventualmente a cure più invasive o alla vestibolectomia.
In alcuni casi è necessario anche supportare la paziente con il giusto supporto psicologico, in quanto la componente emotiva può giocare un ruolo a volte decisivo nello sviluppo della malattia.
Fonte: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jmwh.13456