Sempre più studi pongono l’accento sulla correlazione tra aspetti psicoemotivi dell’individuo, qualità della vita e patologie sviluppate. Un’equipe dell’Ospedale Universitario di Granada, in Spagna, ha voluto approfondire in particolare l’associazione tra la personalità di Tipo D, caratterizzata da inibizione sociale e affettività negativa, e la presenza di disturbi dermatologici.
La review sistematica, pubblicata sulla rivista Acta Dermato-Venereologica, è stata condotta utilizzando le banche dati Medline e Web of Science aggiornate all’ottobre 2022. Gli autori hanno incluso nell’analisi 20 studi dell’area dermatologica che affrontavano la presenza della personalità di Tipo D, i fattori associati e l’impatto sugli esiti della malattia o sulla qualità della vita dei pazienti. Complessivamente, gli studi presi in esame hanno coinvolto 3124 partecipanti.
I risultati sono molto interessanti: è infatti emerso che la personalità di Tipo D è più frequente tra i pazienti affetti da malattie della pelle rispetto ai controlli. L’acne, l’idrosadenite suppurativa, la psoriasi, il melanoma, la dermatite atopica, l’orticaria cronica spontanea e i disturbi pruriginosi sono le principali patologie messe in evidenza. Inoltre, evidenziano gli autori, la personalità di Tipo D risulta associata a una peggiore qualità della vita e ad una maggiore incidenza di comorbilità psicologiche nei pazienti dermatologici.
È quindi chiaro, secondo Sánchez-Díaz e colleghi, che uno screening per la personalità di Tipo D nelle unità dermatologiche potrebbe offrire notevoli vantaggi per una migliore gestione terapeutica dei pazienti che paiono più vulnerabili psicologicamente alle patologie cutanee.
Queste scoperte indicano, più in generale, l’importanza di considerare non solo gli aspetti fisici delle malattie, siano esse della pelle o di altre parti dell’organismo, ma anche il loro impatto psicologico sui pazienti, così come i fattori psicoemotivi predisponenti.
Un’attenzione maggiore verso gli aspetti emotivi e comportamentali di ciascun individuo potrebbe insomma aiutare a prevenire molte patologie e a sviluppare terapie più mirate ed efficaci per migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Fonte: https://medicaljournalssweden.se/actadv/article/view/2741