Avvolto nel mistero fino ad anni recenti, il glutine è diventato una presenza sempre più familiare e ubiquitaria: troviamo l’affermazione “senza glutine” sulle confezioni degli alimenti più disparati, scaffali dedicati ai cibi “gluten free” nei supermercati di nicchia così come in quelli della grande distribuzione, piatti con ingredienti privi di glutine nei menù dei ristoranti e persino dei fast food.
Sebbene sia presente in molti cereali di cui ci alimentiamo, dal frumento alla segale, dall’orzo al farro, il glutine viene digerito solo parzialmente dai nostri enzimi intestinali. Le reazioni a questa proteina pare siano aumentate sensibilmente negli ultimi decenni, o per lo meno sono più documentate dalla letteratura scientifica.
Le patologie legate al glutine coinvolgono fino al 10% della popolazione generale e vengono classificate in tre principali tipologie: allergia al grano, celiachia e sensibilità al glutine. Sembra inoltre che il glutine possa innescare una risposta immunitaria responsabile dell’infiammazione intestinale, oltre a essere coinvolto nella comparsa di altri disturbi gastrointestinali, tra cui gli autori citano anche la sindrome dell’intestino irritabile.
Nonostante ciò, sono ancora relativamente pochi gli studi che esplorano il legame tra l’assunzione di glutine e lo sviluppo di infiammazioni intestinali e altri disturbi gastrointestinali. Per fare chiarezza sullo stato dell’arte, un gruppo di ricerca dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e dell’Università di Parma ha condotto una review sul ruolo del glutine nelle patologie gastrointestinali. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Nutrients.
Gli autori discutono vari aspetti dei disturbi associabili all’assunzione di glutine, compreso naturalmente il regime alimentare più consono. Raccomandare ai pazienti una dieta senza glutine può essere un approccio terapeutico semplice ed efficace nella pratica clinica, sebbene solo per la celiachia sia necessario evitare per tutta la vita gli alimenti con glutine. Anche perché vari studi evidenziano che nello sviluppo di taluni disturbi gastrointestinali non è coinvolto solo il glutine, ma anche altre sostanze presenti nel grano e in altri cereali, come l’amilasi e gli inibitori della tripsina.
Una dieta priva di glutine, evidenziano gli autori, rappresenta uno schema alimentare sbilanciato che può portare a carenze di micronutrienti (minerali, vitamine) e fibre alimentari, a meno che non vi sia un’adeguata supervisione da parte di un nutrizionista. E va anche detto che una dieta senza glutine, essendo così restrittiva, può avere un impatto negativo sul benessere psicologico dei pazienti.
L’obiettivo terapeutico principale nel trattamento di questi disturbi, quindi, dovrebbe essere la messa a punto di una dieta personalizzata, capace di modulare la composizione e il metabolismo del microbiota intestinale, di portare a una remissione dei sintomi e di prevenire eventuali recidive senza per forza privarsi completamente del glutine.
Fonte: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37049456/