Privacy: solo il 15% delle app mediche è in regola

Lo sviluppo di software sulla salute per smartphone e tablet – le cosiddette app sanitarie mobili - è un settore in crescente sviluppo. Ma, ammonisce in questi giorni l'Authority italiana della privacy, questa corsa economica ha un lato oscuro: non tutela sufficientemente gli utenti a cui vengono raccolti i dati.

L'allarme deriva da un'analisi compiuta dalla Global Privacy Enforcement Network, la rete che collega le Authority sulla privacy di 25 Paesi e dell'Unione europea, che ha deciso di fare un'indagine a tappeto (Privacy Sweep 2014) delle principali app che vengono scaricate sui telefonini di ultima generazione. "Le applicazioni mobili sono sempre più diffuse - ha spiegato Antonello Soro, garante italiano della protezione dei dati personali - Chi possiede uno smartphone normalmente ha attive in media 40 applicazioni che offrono servizi di vario genere, ma che sono in grado di raccogliere grandi quantità di dati personali, per esempio accedendo alla rubrica telefonica, alle foto oppure utilizzando dati di localizzazione”.

Le app – più di 1200 scelte a campione tra le più scaricate disponibili sulle varie piattaforme (Android, iOs, Windows, etc.) - sono state vagliate con lo scopo di verificare come le compagnie produttrici usano le informazioni degli utenti, di capire cosa viene scritto nelle autorizzazioni richieste prima che l'utente possa scaricare le app dalla rete, e di comprendere, nel caso del nostro Paese, se viene rispettata le legge italiana sulla protezione della privacy.

L'indagine è avvenuta tra il 12 e il 18 maggio 2014 e, nel nostro Paese, è stata dedicata alle app mediche. Conclusione: tre quarti dei programmi chiedono il consenso dell'uso di dati personali (localizzazione, ID, accesso ad altri account o alla rubrica) ma nel 59% dei casi è stato difficile trovare un'informativa (sulla privacy o sulla finalità dell'uso dei dati) che fosse fornita prima di aver effettuato il download. In molti casi poi l'informativa non corrispondeva alle specifiche dell'app o risultava difficile capire chi fosse lo sviluppatore del programma, formalmente il titolare del trattamento dei privacy. Altre problematicità riscontrate: nel 31% dei casi le app chiedono più dati di quelli che servono per la sua funzionalità e nel 43% dei casi l'informativa sulla privacy non era leggibile dal monitor di uno smartphone o di un tablet.


La luce verde, per il Garante, va solo al 15% delle app. Sono poche infatti le applicazioni in cui l'informativa privacy è realmente chiara e in cui viene spiegato ciò che l'app farà o non farà con i dati raccolti. A seguito dell'esito dell'indagine, il Garante sta valutando se intervenire con ammonimenti o sanzioni.

Fonte: http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3374496








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